Come avevo preannunciato qualche giorno fa nel post "Le mie nuove Rubriche", vorrei introdurre oggi la nuova sezione del blog "I 10 libri che..."
Un recente articolo pubblicato su Panorama ha suggerito un elenco di dieci libri che ognuno di noi dovrebbe leggere per migliorare se stesso.
Secondo questo articolo infatti "lo sviluppo umano di una persona passa anche attraverso l'empatia che possono scatenare grandi o piccoli capolavori".
Non amo moltissimo le liste, ma date le circostanze, riporto di seguito i dieci libri suggeriti:
- Una storia semplice di Leonardo Sciascia
- L'isola di Arturo di Elsa Morante
- Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati
- L'uomo senza qualità di Robert Musil
- Il buio oltre la siepe di Harper Lee
- Delitto e Castigo di Fedor Dostoevskij
- Lo straniero di Albert Camus
- Cent'anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez
- Cecità di Josè Saramago
- La versione di Barney di Mordecai Richler
Ammetto che la lista in questione contiene alcuni titoli che non ho letto ed ora che lo so farò in modo di correre al riparo, ma uno su tutti ha catturato la mia attenzione, perchè non solo l'ho divorato, ma l'ho amato, riletto successivamente, consigliato e tenuto per mesi sul mio comodino, poco disposta a lasciarlo andare.
Era il 1983. Ero al quarto anno delle superiori e su consiglio di un'amica ho acquistato "Cent'anni di solitudine" di Gabriel Garcia Marquez, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1982.
Stavo attraversando uno dei periodi più tristi della mia vita: passavo le mie giornate divise tra la scuola e l'ospedale dove era ricoverato mio padre, inchiodato in un letto da una di quelle malattie che non perdonano. Di lì a pochi mesi lo avrei perso.
Appena diciassettenne, ero già alle prese con un dolore che non riuscivo a portarmi sulle spalle. Mi serviva un'ancora di salvezza, un porto sicuro a cui approdare per non annegare tra le lacrime.
E' stato così che ho conosciuto Gabriel che con il suo faccione sorridente mi ha presa per mano e mi ha condotta a Macondo, un villaggio circondato da una sierra impenetrabile e mi ha fatto conoscere Aureliano - che paradossalmente portava un nome simile a quello di mio padre - ed i suoi genitori Josè Arcadio e Ursula Iguaran, capostipiti della famiglia Buendia, la cui storia si dipana lungo un arco di cento anni.
Ed io l'ho seguito volentieri, lasciandomi cullare dalle sue parole che mi raccontavano le vicende improbabili di una famiglia caratterizzata da relazioni incestuose, pazzia, sogni di gloria e spirito rivoluzionario. Ho conosciuto la forza e il carattere delle donne della famiglia con pochi obiettivi ma una determinazione implacabile nel perseguirli.
Ho faticato a memorizzare i nomi dei personaggi, tutti simili tra loro ed è stata forse lì che è nata la mia passione per la genealogia che mi accompagna ancora adesso nelle mie letture.
Ma perchè, per rispondere alla domanda della rubrica, mi ha resa una persona migliore?
Perchè gli attimi di oblìo che mi ha regalato mi hanno aiutata a superare la rabbia - ecco, soprattutto la rabbia - ed il dolore. E perchè la forza d'animo di Ursula e la sua determinazione nell'affrontare le difficoltà della vita erano le stesse virtù che ritrovavo in mia madre tutti i giorni.
Forse, quelle stesse virtù mi sarebbero state meno chiare o evidenti se un capolavoro come quello di Marquez non me le avesse servite su un piatto d'argento, proprio lì dove io avevo bisogno di trovarle.
Nessun altro libro è stato così importante per me come questo.
Buona Lettura!
{Cent'anni di solitudine, Gabriel Garcia Marquez, Edizioni Mondadori, Pagine 392}
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